Duemila anni fa in un’isola della Polinesia. L’adolescente Vaiana, figlia del capo della comunità, sa che diventerà la futura guida della sua gente, ma qualcosa non la rende serena: tutte le attività di sussitenza sembrano compromesse da un oscuro male, e il richiamo dell’Oceano che avverte da quand’era piccola non è mai stato così forte. Su consiglio di sua nonna Tala, andrà alla ricerca del cuore della dea della natura, Te Fiti, sottratto anni addietro dal semidio Maui, che ora dovrà proprio dare una mano a Vaiana…
Nell’anno che ha regalato all’appassionato Disney l’inaspettato Zootropolis, il valore più silenzioso di Oceania, 56° lungometraggio animato del canone Disney, rischia di non essere colto immediatamente. Con la relativamente ampia libertà creativa che John Lasseter ha lasciato ai Walt Disney Animation Studios, un “musical con principessa” diretto (e in parte scritto) da John Musker& Ron Clements, simboli viventi del Rinascimento degli anni Novanta (La sirenetta, Aladdin), sembra fuori tempo massimo. Frozen è stato un successo colossale, ma il suo valore di novità era già sbandierato nello stesso materiale promozionale, dove le principesse erano due.
Oceania ruota invece sulla singola protagonista femminile forte che iniziò a prender forma proprio dalla Sirenetta; ha una spalla maschile mutaforma e sopra le righe nel dio Maui (tipo Genio di Aladdin?); ha una nonna che tutto capisce (Nonna Salice di Pocahontas? Nonna Fa di Mulan?); ha due animaletti buffi comprimari (il maialino però è inutile e viene presto dimenticato); usa infine le piacevoli canzoni di Mark Mancina, Opetaia Foa’i e Lin-Manuel Miranda per sottolineare gli snodi del plot (molto centrata “You’re Welcome / Prego“). Dal di fuori, verrebbe di dare ragione ai detrattori Disney: timbrata di cartellino?
Non si può fare a meno però di notare qualcosa. Vaiana è la prima “principessa” Disney a non avere alcun problema di cuore, alcun amore sognato o vissuto. Non c’è un rapporto col maschio anelato o al contrario respinto (come per esempio nel Brave della Pixar). Questo sta spingendo molti commentatori a sottolineare solo adesso il femminismo in casa Disney, che però – come scrivevo – è stato lentamente costruito dal 1989, quando proprio Musker & Clements fecero rivendicare ad Ariel la sua libertà di scelta. Non è il femminismo la chiave di Oceania, semmai lo è una sua interessante evoluzione: nel film non si affronta l’emancipazione femminile, perché è data per scontata. Vaiana è l’eroina della storia, ha un problema da risolvere, incontra / si scontra con un mentore, e nessuno mette in dubbio che lei possa guidare un giorno il suo villaggio. Nel suo mondo, la donna è già rispettata e gode già di pari opportunità: la sua ribellione non riguarda la rottura di una tradizione, ma addirittura il recupero di essa, e il conflitto con suo padre nasce da quello, di certo non da problematiche di genere, che il film nemmeno sfiora. Non ce n’è più bisogno: non male come ridefinizione della “magia Disney”.
Associato a questa caratterizzazione, il messaggio ecologico che si nutre a fondo della cultura polinesiana, se si ha l’accortezza di guardare al di sotto della struttura da musical hollywoodiano, fa pensare più a un’onda lunga della Nausicaa di Hayao Miyazaki, ben noto a questi autori, che lo conobbero nei primi anni Ottanta, poco prima di debuttare con Basil l’investigatopo (1986). Da lì il secondo elemento di rilievo: Oceania non presenta cattivi, “villain” classici Disney, motori della storia come un visir Jafar. Era già successo in Frozen? Sì, però qualche individuo sordido a 360° c’era ancora. Qui nulla: ci sono solo errori dell’umanità, non crudeltà innate, e non scriviamo di più per evitare spoiler.
Non sarà prezioso come l’equilibrio sociale, tema del capolavoro Zootropolis, ma l’equilibrio tra classico e moderno fornisce a Oceania un’identità, nei suddetti contenuti che si riflettono nelle dinamiche di produzione: non a caso è il primo lungometraggio in CGI diretto dai registi, che fino alla Principessa e il ranocchio (2009) avevano cercato di salvare l’animazione a mano libera. A sessant’anni suonati, a John e Ron è toccato “tornare a scuola” per imparare un processo produttivo per loro nuovo, in un film che per questo e gli altri motivi elencati, loro malgrado, sembra un vero passaggio di testimone tra la generazione di artisti del Re Leone e i giovani vivaci talenti della CGI. Le animazioni 2D dei tatuaggi magici di Maui, firmate da Eric Goldberg e Mark Henn, amplificano la sensazione. Con Oceania è più che mai evidente quanto John Lasseter sia riuscito a garantire alla tradizione disneyana l’importanza della staffetta, che consentì agli stessi Musker e Clements di affiancare gli autori di Pinocchio e Peter Pan.